Hai una attività e vorresti far parte di Let’s go?
Sembra che il nostro adattamento alle misure disposte stia iniziando a dimostrare i primi pallidi risultati. Ora però è richiesto il massimo impegno: nonostante si manifestino le prime avvisaglie di miglioramento, è necessario mantenere nervi saldi, per affrontare diligentemente l’epilogo di questa triste vicenda ed avviarci ad una salda ripresa.
Nei precedenti articoli sul tema, sono stati affrontati alcuni rischi in cui è possibile incorrere, con i propri figli, in questo difficile periodo. Ora, è necessario forse affrontarne un altro, probabilmente più insidioso perché difficilmente individuabile, che potrebbe incidere notevolmente sul ritorno alla normalità dei più piccoli: il linguaggio.
Molte famiglie avranno sicuramente ripensato una routine più affine con il particolare momento storico, affidandosi presumibilmente anche all‘intrattenimento audio-visivo, che impegnando il bambino passivamente, concede ai genitori la possibilità di svolgere mansioni domestiche o fronteggiare responsabilità lavorative. La filmografia per i più piccoli è una grande risorsa educativa, perché permette ai bambini, insieme ai racconti, di sviluppare la dimensione fantastica, con cui questi iniziano ad idealizzare il mondo; inoltre, può diventare un indicato ed ottimo momento familiare, in cui la condivisione di un film fa da cornice ad un ricordo che rimarrà vivo nella memoria del bambino.
Qual è, allora, il rischio che si corre?
Quando la soluzione video diventa troppo frequente e il bambino viene spesso lasciato solo, a fruire di contenuti audio-visivi, il potenziale rischio è quello di trascurare la tendenza all’alienazione, che si manifesterà poi più vigorosamente nell’adolescenza, quando applicativi per smartphone e video-giochi favoriranno l’acuirsi di tale tendenza.
Da un’indagine svolta su 2.037 bambini e ragazzi residenti in 18 diverse città italiane, risulta che i soggetti più giovani (11-13 e 14-15 anni) trascorrono con i videogiochi fino a tre ore al giorno (Centro Studi Minori e Media).
Inoltre, questione di principale interesse, il bambino ha un bisogno organico, quasi evoluzionistico, di sviluppare il linguaggio ed è necessario che affini questa capacità nella continuativa intercomunicazione con il genitore, per soddisfare una primordiale necessità.
L’argomento è molto denso e potenzialmente sviluppabile appellando le più disparate discipline. Si tenterà di approfondire l’importanza del linguaggio, discorso che interessa il bambino quanto l’adulto, attraverso tre approcci:
Educativo. È certamente un fenomeno esplosivo quello che caratterizza l’insorgere delle parole nella comunicazione del bambino e poi, successivamente, l’articolazione di una terminologia propria di senso all’interno di frasi composte, nella correttezza dei modi e dei tempi verbali. La capacità di parlare ha un linearità di sviluppo, che ha inizio nel momento, si stima intorno ai quattro mesi, in cui il bambino percepisce una familiarità con i suoni linguistici che lo circondano ed è infatti pronto, dopo un paio di mesi, a riproporre musicalmente sillabe articolate come “ba-ba” o “ma-ma”. L’adulto deve stimolare questa calibrata e programmatica acquisizione del linguaggio, affinché il bambino sia in grado di esprimere i suoi bisogni individualmente e possa interagire attivamente con il mondo adulto, perché è cosciente di dover comunicare con questo sin dalla nascita. Inoltre, è ormai riconosciuto, che il linguaggio permette di organizzare il pensiero in una stringa di eventi collocabile temporalmente nella vita quotidiana: l’utilizzo dei tempi verbali, pone inevitabilmente l’individuo in una concezione temporale di prospettiva, futuro, e di ricordo, passato, chiarendo la sua natura di ‘essere nel tempo‘.
Evoluzionistico. Se volessimo risalire agli albori dell’utilizzo del linguaggio, dovremmo tornare indietro, così stimano molti studiosi, in un periodo che va dai 100.000 ai 50.000 anni fa, in una zona non specificata dell’Africa Orientale, dove sembra sia iniziato a svilupparsi una forma di proto-linguaggio, poi maturatasi nell’odierna capacità comunicativa dell’uomo. Come è stato possibile capirlo? Come ci spiega un noto neurobiologo, Lamberto Maffei, in un interessante saggio sull’argomento dal nome “Elogio della parola”, molti sono gli antropologi fisici e psicologi evoluzionisti che si sono interessati alla questione, nel tentativo di dare delle concrete risposte al mondo della ricerca: sembra, dunque, che lo sviluppo della parola organizzata in frasi di senso compiuto, risalga ad un periodo che va dai 60.000 ai 50.000 mila anni fa, periodo che sembra coincidere con la nascita di una civiltà, seppur primitiva, dotata di una capacità comunicativa che non si esauriva soltanto in gesti, ma si sviluppava in una sintassi propria di grammatica. Da ciò, l’uomo tende lentamente ad acquisire la proprietà del ragionamento, della riflessione, dell’organizzazione del messaggio, potenziando i meccanismi sovraintendenti al pensiero. Hanno dimostrato tali teorie molteplici studi sui cambiamenti morfologici di alcune aree del cranio, che si andranno ora a specificare.
Medico. Le due aree su cui è stato possibile osservare questi cambiamenti sono oggi conosciute come area di Wernicke ed area di Broca. Rispettivamente preposte alla ricezione ed analisi uditiva ed alla organizzazione del linguaggio, Maffei ci spiega che entrambe le aree sono individuabili nell’emisfero sinistro del nostro cranio, dove risiede la stessa capacità del pensiero. È allora possibile immaginare come lo sviluppo di queste due aree abbia determinato un cambiamento non solo nella capacità comunicativa, ma anche nell’abilita del ragionamento e dell’elaborazione del pensiero: la comunicazione attraverso gesti permette un’informazione visiva immediata e diretta, ma non richiedendo una elaborazione dei contenuti comunicati, non permette un’interpretazione linguistica di tali contenuti e, soprattutto, una successiva organizzazione, attraverso le parole, di una narrazione propria di senso compiuto.
Un’educazione che incoraggia all’utilizzo della parola sin dalla tenerissima età, è un’educazione che incoraggia alla ragione.
Si può quindi concludere riportando letteralmente, tratte dal suo libro “The Game”, le parole di Alessandro Baricco, che in chiusura di una lunga ed interessante dimostrazione dei cambiamenti che hanno caratterizzato l’avvento dei primi video-giochi, la nascita dell’Internet e l’arrivo degli smartphone, dice:”Nei prossimi cento anni, mentre l’intelligenza artificiale ci porterà ancora più lontani da noi, non ci sarà merce più preziosa di tutto ciò che farà sentire umani gli uomini”.
Giacomo Grassi
giacomo.grassi23@gmail.com
Tra tutte le venature della nostra società che il virus sta portando alla luce, vengono messe in risalto anche le incredibili peculiarità dei più piccoli, che ci mostrano come è possibile vincere la paura anche senza assicurarsi di seguire i notiziari nazionali tutti i giorni.
A tal proposito, è importante che al bambino venga ora stabilito il suo ruolo nel particolare momento che stiamo tutti vivendo: dove è già possibile sperimentare un sentimento di impotenza da parte degli adulti, è bene che il bambino trovi un significato in questa esperienza, perché sarà attraverso tale significato che andrà, poi, ad analizzare la realtà.
Partiamo però da due interessanti storie, una fantastica ed una realmente accaduta, utili alla comprensione di quello di cui si vorrà parlare.
Economia Collaborativa. Nella soleggiata città californiana di San Francisco, corrono gli anni 2000 e si sta diffondendo una tendenza che andrà a riscrivere le normali abitudini di molti privati. La moda è sostanzialmente questa: hai qualcosa che non utilizzi, tipo una macchina, una casa, una speciale capacità, del tempo? Mettilo a disposizione di qualcuno per qualche dollaro. Da questa trovata, nascono i vari Uber, AirBnb ed altri, non a caso proprio in quegli anni, non a caso proprio a San Francisco. Semplici app attraverso le quali è possibile sperimentare quella che poi sarebbe stata ribattezza come “Sharing Economy” o “Economia collaborativa“, cioè un patto tra singoli e privati cittadini di inter-scambio di beni materiali e non.
La grande Sfera Genkidama. Nel celebre manga giapponese Dragon Ball, il carismatico protagonista son Goku, esplora il mondo alla ricerca di sette sfere, gemme in grado di evocare un drago capace di esaudire un desiderio. Dello speciale universo descritto, fanno parte i Saiyan, una popolazione di guerrieri destinati biologicamente alla lotta, tra i quali vi è annoverato lo stesso Goku. Tra le tecniche più memorabili del Saiyan Goku, vi è quella della sfera Genkidama, una potente sfera di energia spirituale, che solo quest’ultimo può generare grazie all’aiuto solidale di tutti gli abitanti del pianeta terra, a cui viene richiesto dal protagonista di stendere le braccia al cielo, per contribuire alla potenza della sfera.
Cosa è possibile imparare da queste due differenti storie?
In questi giorni, tutti i cittadini stanno seguendo i numeri del contagio e probabilmente ci si chiede come, nel piccolo, da non-eroi in prima linea, sia possibile sostenere la macchina socio-sanitaria. Hanno allora inizio solidali campagne di raccolta fondi a favore di ospedali e associazioni para-mediche, nonché compatti movimenti di solidarietà ai più deboli, agli anziani, ai poveri, tutto di matrice privata, cioè del singolo cittadino che sceglie di essere d’aiuto in un momento così critico.
Questa compartecipazione, diventa allora rappresentativa del concetto di economia collaborativa di cui si parlava, poiché stabilisce un nuovo modo di concepire l’altro e, soprattutto, il proprio “io” per l’altro.
Una simile nozione è fondamentale per la costituzione della qualità di pensiero del bambino, che già nell’età compresa tra i 4 ed i 5 anni non è più soddisfatto nell’accogliere gli eventi passivamente, ma tenta di comprendere autonomamente il mondo intorno a sé.
È molto importante che lo si lasci esplorare nella sua fame di conoscenza, perché possa iniziare a costruirsi in lui la capacità di giudizio morale, che porterà poi a distinguere più facilmente il bene e il male nella vita adulta.
Non solo.
Tutta la sua intelligenza è predisposta alla comprensione del reale, che desidera conoscere ardentemente attraverso una visione d’insieme: il bambino vuole comprendere l’universo e il suo funzionamento, e questa tendenza lo rende un filosofo di tenerissima età, che attraverso l’astrazione e l’acquisizione di assunti mentali, cioè concetti e teorie, categorizza il mondo intorno a sé e procede con un’analisi di pura logica degli eventi.
Ma come poter investire in questa sua capacità, durante un simile momento di calamità?
Attraverso l’immaginazione.
Il bambino ha in sé una innata capacità intuitiva e non conosce ancora il reale, quindi lo idealizza, lo immagina, lo sogna, dimostrando grande affinità con l’astratto.
Proprio per questo, tra le sue passioni preferite, si possono annoverare giochi di fantasia e racconti fiabeschi, che narrano di scenari incantati ed esperienze immaginarie, perché è nelle storie di senso che il bambino acquisisce quei significati e quelle rappresentazioni, nonché la consapevolezza dei propri stati d’animo e dei propri sentimenti, che andranno a disegnare le mappature emotive con cui comprenderà la vita.
Ma per assicurarsi che questo accada, è necessario che il bambino sperimenti un processo di identificazione con i personaggi e con gli eventi della narrazione: la capacità catartica ha effetto solo nel momento in cui il bambino può contestualizzare il racconto, cioè può inserire il significato di quel racconto in un contesto ben determinato, ad esempio nello scenario che sta vivendo.
Perché, allora, non spiegare come anche lui possa essere un eroe oggi?
Il suo ruolo è quello di rispettare un ordine superiore, un richiamo che viene da molto lontano, che ha una voce distante e sconosciuta ma che riecheggia risoluta e precisa, rievocando i significati delle due storie raccontate: la vera forza, non proviene dall’abilità del singolo, ma dalla compartecipazione di ognuno.
Tutti alzano le mani al cielo, la sfera Genkidama inizia a prendere forma.
Giacomo Grassi
giacomo.grassi23@gmail.com
Coronavirus: Il bambino intelligente.
Come abbiamo avuto modo di trattare nel precedente articolo “Coronavirus: come iniziare a vincere la paura”, è necessario coinvolgere i bambini in questo particolare momento storico, affinché non sperimentino un vissuto di angoscia inconsapevole.
Perché si è parlato di angoscia e non di paura?
Come ci spiega il noto filosofo e antropologo Umberto Galimberti, vi è una netta distinzione tra angoscia e paura: la paura è un importante strumento di autodifesa, che permette all’individuo, dinnanzi al pericolo, di attuare un’azione funzionale al fronteggiamento del rischio.
Esempio: si deve insegnare al bambino che il fuoco brucia e che deve fare attenzione nell’avvicinarcisi, per non incorrere in pericolose scottature, con successive corse in ospedale.
L’angoscia, invece, è un sentimento di ansia dovuto a motivazioni non ben specificate, perché si percepisce un rischio indeterminato: non è identificabile l’oggetto dal quale ci si deve difendere e, quindi, si prova una inquietudine spesso irrazionale.
Esempio: sappiamo di correre il rischio di contrarre il Coronavirus, ma non sappiamo come possa avvenire questo contagio, da chi o cosa fare attenzione e, nello specifico, quali attività evitare.
Si prova angoscia e, di conseguenza, la provano i bambini.
Le domande che probabilmente sorgono spontanee in questo momento sono tre:
Queste domande, apparentemente banali, possono in realtà fare la differenza tra la razionalizzazione di un vissuto per il bambino, cioè la presa di coscienza su un ordine di eventi, e la permanenza in uno stato di terrore indeterminato, che non permette, nemmeno ai genitori, di godere dei tempi e degli spazi che il virus ha restaurato nelle case, dove ci si ritrova tutti insieme per un mese intero.
Angoscia e Paura. Alla nascita, i bambini non hanno paura di niente e questo è tra i principali motivi per cui bisogna accudirli attentamente. Non hanno paura di niente perché non conoscono ancora il reale e tentano di comprenderlo attraverso l’ambiente in cui vivono e crescono, sotto la premurosa guida dei genitori. Quello che i bambini vivono, differentemente dagli adulti, è l’angoscia di non saper fronteggiare la realtà senza i punti di riferimento, che sono ovviamente, in prima istanza, i genitori. Durante tutta l’infanzia, viene infatti suggerito ai genitori di manifestarsi empatici, cioè capaci di calarsi nei panni del bambino, attenti alle sue emozioni e rassicuranti, affinché il bambino sviluppi sicurezza e fiducia in se stesso, anche dinnanzi alle calamità.
Come spiegare il virus. In questi giorni, se si dovesse eseguire una rapida ricerca nel web, si potrebbero facilmente rintracciare molte storie, scritte e raccontate da insegnanti, che tentanto di spiegare ai propri piccoli alunni l’emergenza che stiamo vivendo. Non a caso, è possibile notare la scelta stilistica delle/gli insegnanti, che ricorrono alla fiaba per narrare, anche scientificamente, cos’è il Coronavirus e come poterlo evitare. La fiaba ha un’importante valenza catartica per i bambini, cioè consente al bambino di immedesimarsi nel racconto e sperimentare l’esperienza del racconto stesso, pur non vivendola in prima persona. La fiaba, però, deve essere vicina al vissuto del bambino, deve riguardare dei contenuti che il bambino ha già fatto propri. Ecco perché, se si dovesse essere a corto di idee, ci si potrebbe confrontare con le/gli insegnanti dei bambini, che sicuramente sapranno consigliare il tema più appropriato per la narrazione.
Quali le conseguenze a cui si va incontro. Partiamo da un importante presupposto: è possibile notare un’emergenza di un sé funzionale nei bambini, cioè una coscienza di se stessi presenti nell’ambiente, già intorno ai sei mesi. Questo significa che i bambini, contrariamente a ciò che spesso si può pensare, hanno la capacità di comprendere quello che succede intorno a loro, soprattutto perché è consigliabile abituarli a delle routine di consuetudine. I bambini più grandi poi, essendo di natura molto curiosi, avanzeranno subito la domanda del perché non si va a scuola, per quale motivo i genitori sono a casa o, più banalmente, a cosa servano le mascherine, se sono un semplice gioco o protezione. I genitori, a questo punto, non possono tenere nascosta la questione e devono dire la verità, per non rischiare l’insorgere di disfunzioni nella logica del bambino che, come precedentemente detto, analizza il reale attraverso i genitori, che diventano il primo metodo di conoscenza della realtà.
I bambini sono altamente intelligenti grazie alla loro profonda e caratteristica intuitività, essendo abituati a ricevere informazioni dalla totalità di ciò che li circonda.
E in un momento in cui siamo richiamati ad essere veramente gli adulti, non sottovalutiamo la loro perspicacia.
Giacomo Grassi
Ormai è ufficiale: le misure contro il Coronavirus saranno ristrettissime per i prossimi dieci giorni o addirittura per tutto il mese di Marzo.
È stata data ordinanza di chiusura per le scuole di ogni ordine e grado ed alcuni servizi pubblici non sono tenuti a prestare servizio, se non con le dovute precauzioni.
L’italia e il mondo intero assistono attentamente alle evoluzioni del contagio, preoccupandosi che il Coronavirus possa diffondersi in maniera irrecuperabile e compromettere salute e abitudini.
Sin dai primi momenti, le indicazioni segnalate da tutti i governi internazionali erano principalmente quelle di evitare situazioni di sovraffolamento e mantenere delle pratiche d’igiene di consuetudine, così da scongiurare di contrarre la malattia attraverso il contatto con occhi, naso e bocca.
Nessuno poteva immaginare, circa un mese fa, che la situazione Coronavirus si sarebbe così rapidamente evoluta fino ad arrivare, oggi, alla realtà che le nostre città conoscono, di musei e cinema chiusi, di mostre e mercati fuggiti, di scuole ed università sbarrate.
Ma in uno scenario così tremendamente descritto, altri sono i luoghi che sicuramente vivranno una anticipata primavera, che potranno accogliere senza riserva tutti i suoi appartenenti: le nostre dimore.
È lecito chiedersi se, nella ricostituita condivisione di spazi e tempi di una intera giornata, una famiglia riscontri difficoltà nel ritrovarsi improvvisamente e per un tempo non determinato, a vivere secondo disposizioni d’emergenza?
Perché una forzata conseguenza del Coronavirus, potrebbe essere quella di sperimentare una immobilità ormai abbandonata, dimenticata e soprattutto mai conosciuta dalle nuove generazioni. Affrontare la continuità di una condizione invariabile fino ad un eventuale contrordine, può provocare disagio e insofferenza, ma se si accogliesse questo tempo come un’opportunità per riscoprire quelle abitudini semplici e caratteristiche, che legano le famiglie attraverso attività tradizionali e canoniche, si potrebbe avere una differente e più sana interpretazione del particolare momento storico.
Allora perché non approfittare delle giornate a disposizione per vincere la paura Coronavirus, attraverso attività ludiche che interessino grandi e piccoli e che aiutino a maturare un vissuto emotivo non di angoscia inconsapevole, ma di vicinanza e solidarietà?
Una passeggiata, la visione di un film, la lettura di un libro in comune, tutti semplici esercizi contro il terrore del contagio, che compongono un allenamento sano per superare il Coronavirus senza scartare il benessere dell’affetto.
Coronavirus è prevenzione e restrizione: non permettiamo diventi distacco e disamore.
Giacomo Grassi